Centocinque domande a Pietro Barucci
Saper credere in architettura/53
collana: interviste
Pietro Barucci (1922) è nato e vive a Roma. Laureato in Architettura nel 1946 ha collaborato nell’insegnamento universitario dapprima con Giuseppe Nicolosi, poi con Arnaldo Foschini e Adalberto Libera. Ha tenuto conferenze presso le maggiori Facoltà italiane e a Harvard. Ha svolto un’intensa attività professionale nell’arco di cinque decenni occupandosi di edilizia residenziale pubblica e di grandi interventi di architettura a scala urbana. È inoltre autore di Piani urbanistici per diverse città della Tunisia e dell’Etiopia. La sua attività progettuale è pubblicata sulla monografia Pietro Barucci architetto, Electa, Milano 2009. I suoi progetti sono conservati all’Archivio di Stato e sono consultabili sul sito www.pietrobarucci.it
Recensione di Mario Pisani
Il murales di Jorit con il volto del Che sulla facciata cieca degli edifici gemelli alla Taverna del Ferro di Napoli rappresenta, per la sua forza iconica, il giusto viatico che dalla copertina introduce questo tascabile della fortunata serie Saper credere in architettura. Per ciò che rappresenta il nostro personaggio: Pietro Barucci.
Nato a Roma nel 1922, laureato nel 1946, assistente di Foschini e poi di Libera, costretto a dimettersi da Valle Giulia con l’arrivo di Quaroni che preferisce Tafuri, è l’artefice di opere come il nucleo direzionale di piazzale Caravaggio (1963-69) indimenticabile scenario per Gian Maria Volonté in Un cittadino al di sopra di ogni sospetto; i quartieri residenziali IACP Laurentino (1971-84) mutilato con la demolizione dei ponti e Torrevecchia (1978-84). Ed ancora: il Quartaccio (1978-84) che con scarsa lungimiranza è stato destinato unicamente ai ceti più deboli, decretandone la sua rapida decadenza, per finire con “Il serpentone” a Tor Bella Monaca (1980-81). Complessi residenziali che spesso per ignavia e inconcludenza delle amministrazioni, evocano ricordi di spaccio e delinquenza agli abitanti della Capitale.
Ciò che qualifica il dialogo incalzante ben tenuto da Lenci è una sorta di grande affresco di cosa è stata la scuola romana negli anni Cinquanta. La forza propulsiva del Moderno che ha continuato anche dopo la spinta della ricostruzione e l’espediente del piano Fanfani con l’INA Casa. La sua capacità di far intravedere inediti scenari e gli intralci e la resistenza della burocrazia capitolina e di un ceto politico che, ancora timoroso di ciò che ha rappresentato l’architettura negli anni del fascismo, non ha trovato il coraggio di comprendere le potenzialità espresse da questa nobile arte per rinnovare il nostro Paese.
Vale la pena leggere questo agile libretto e tener presente il suo messaggio.