La forma (dis)continua dell’antico
Chiara Barbieri
ISSN 2531-6680
ISBN 978-88-8497-645-1
L’architettura, in quanto opera afferente alla sfera del reale, è inevitabilmente soggetta alle azioni del tempo, delle calamità naturali e dell’uomo: azioni che insieme concorrono a creare modificazioni nel suo corpo, talvolta nelle forme del lento degrado dei materiali, talvolta in quelle traumatiche di violente distruzioni e di perdite rovinose dei suoi elementi. La rovina archeologica rappresenta il caso più significativo di un’architettura trans-formata e plasmata dal tempo, in cui le alterazioni e i vuoti sono così consistenti da restituire l’immagine di un’opera irrimediabilmente frammentata e - tuttavia - non-finita. Una condizione, quella della perdita della configurazione originaria, che non va però considerata necessariamente muta, neutra, passiva. Occorre restituire a ciò che appare ora incongruo e discontinuo una nuova dignità formale ed espressiva, non cercando ingenuamente di ricreare le condizioni perdute, ma assumendosi l’onere ed il rischio di progettare una rinnovata forma che includa in sé il preesistente come sua componente essenziale.