Napoli ‘25/‘33
ISBN 978-88-8497-629-1
Recensione di Antonio Grieco
"Il Rievocatore"
Anno LXVIII n. 1 Gennaio-Marzo 2022
LEA VERGINE
L’altra metà della critica d’arte
A un anno dalla scomparsa, il ricordo del fondamentale contributo di Lea Vergine alla storia dell’arte napoletana del Novecento
Una delle esposizioni di arti visive più interessanti tenute a Napoli nel Novecento la dobbiamo a Lea Vergine (Lea Buoncristiano il suo nome prima di unirsi con Adamo Vergine, di cui mantenne il cognome anche dopo la separazione), la critica d’arte napoletana che nel 1971 curò la mostra “Napoli ’25/’33”: una iniziativa che con il volume omonimo da lei edito per l’occasione1, ebbe il merito di far luce sul rimosso della storia dell’arte della nostra città prima e durante il ventennio fascista. Di Lea Vergine, spentasi con il marito Enzo Mari a causa del Covid-19 nel 2020, anche in questa breve nota non possiamo dimenticare i suoi studi sul corpo come linguaggio, che costituiranno la base del libro Body art e storie simili2, e mostre e saggi come L’altra metà dell’avanguardia 1910-1940 3 sulla partecipazione femminile ai movimenti artistici dello scorso secolo: testimonianza di uno sguardo straordinariamente vivo e attuale sull’arte contemporanea che, estraneo al business globale dell’arte, contribuì a sconfiggere l’anonimato di «sperimentatrici geniali, infaticabili promotrici di cultura esse stesse»4. I contributi teorici di Vergine furono vari e complessi, e noi, nel ricordarla a un anno dalla morte, abbiamo scelto di ritornare con la memoria a quella mostra da lei curata agli inizi degli anni Settanta, che per molti visitatori (compreso chi scrive) costituì un’assoluta rivelazione.
“Napoli ’25/’33”, una mostra rivelazione
Nelle sale della Galleria “Il Centro” di Dina Carola furono infatti presentati, per la prima volta, documenti, dipinti, manifesti, fotografie, testimonianze inedite di artisti, che, talvolta in solitudine, cercarono di lasciarsi alle spalle accademia e provincialismo per dialogare con le sperimentazioni più avanzate dell’arte europea. Fu soprattutto il metodo d’indagine di Vergine a colpire pubblico e critici: una rigorosa ricerca sul campo sulle tracce di tanti artisti dimenticati dalla Storia, che la portò a stigmatizzare con durezza la cultura ufficiale e le autorità istituzionali del tempo, che «hanno da sempre, e fatalmente, caldeggiato solo lassismi e imposture»5. Aggiungendo, con sempre maggiore indignazione, che «la classe dei professionisti, ancora oggi detiene il primato dell’ignavia e della ignoranza più gretta»6. Come accennavamo, documenti di notevole rilievo storico-artistico affiancarono i dipinti degli artisti napoletani in mostra – come ad esempio Il Manifesto dei Circumvisionisti (1928), testo programmatico di un gruppo composto da Antonio D’Ambrosio, Carlo Cocchia, Guglielmo Peirce, Carlo Coccchia, Mario Lepore, Pepe Diaz, Gildo De Rosa, o quello dell’U.D.A. (Unione Distruttivisti Attivisti), firmato nel 1929 da Carlo Bernari, Guglielmo Peirce e Paolo Ricci – che possiamo considerare primi segnali di opposizione dall’interno del regime mussoliniano. Ma furono soprattutto le tante opere sottratte all’oblio a suscitare l’interesse del pubblico: si pensi ai lavori futuristi di Emilio Notte e Francesco Cangiullo, alle eleganti sculture di Giovanni Tizzano, alle sordide periferie di Luigi Crisconio e Mario Vittorio, ai paesaggi “innocenti” di Luigi de Angelis (Il Barbiere d’Ischia), agli splendidi ritratti femminili di Eugenio Viti; o ancora, ad opere come Le amiche di Guglielmo Peirce o Pomeriggio del disoccupato (1932) di Paolo Ricci (di cui fu possibile recuperare solo l’immagine fotografica perché disperso il dipinto originale). Il volume della Vergine Napoli ’25/’33, agile e straordinariamente ricco di immagini e di testimonianze dirette, rappresentò un ineludibile punto di riferimento per altre importanti investigazioni sull’arte napoletana al tempo del Fascismo7.
Una lezione da riscoprire
Pensiamo sia giusto qui segnalare che molti brani riportati in questo saggio sono tratti da scritti editi ed inediti di Paolo Ricci: «Ho inteso sottolineare – scrive l’autrice – i meriti e il taglio sociologico delle letture critiche e delle narrazioni oltre che il comportamento consapevole dell’unico napoletano a Napoli (della sua generazione) che ha, fin dall’inizio, studiato con amore vero i fatti di casa propria serbando – per quel che le estreme difficoltà gli permisero – i cimeli di una lotta che certo non si può dire perdente»8. Parole che sembrano chiudere definitivamente la controversia (finita nelle aule del tribunale) che nel 1960 ci fu tra lei e Ricci stesso, come ricorda Villani nella prefazione alla ristampa (2018) del volume dedicato all’evento9: una rottura dovuta ad un articolo del critico napoletano (maschilista probabilmente al di là delle sue stesse intenzioni, se si consideri che nel corso della sua lunga attività giornalistica egli non mancò mai di sostenere artiste di vario orientamento estetico – come, solo per citarne qualcuna, Rosina Viva, Titina De Filippo (grande attrice poco conosciuta come pittrice), Clara Rezzuti, Mathelda Balatresi, Lina Mangiacapre, Germain Lecoq Amendola, Maria Roccasalva, Letizia Cerio. Ma poi tra i due critici, proprio durante la preparazione della mostra del ’71 alla Galleria “Il Centro”, si instaurò un affettuoso rapporto di amicizia e di stima – un legame sincero e duraturo testimoniato anche dagli articoli che la studiosa napoletana dedicò alla pittura di Ricci e alle sue ricerche sull’arte napoletana tra Otto e Novecento10. Vergine è stata una voce fuori dal coro della nostra cultura, un’intellettuale anticonformista che lottò per tutta la vita per una critica d’arte libera, non condizionata dalle mode né dal mercato, né tentata – per dirla con due acuti storici dell’arte contemporanea come Montanari e Trione – «dall’orgia consumistica della mostra delle mostre»11. Riscoprirne oggi la lezione – a partire dalla sua inchiesta sulla cultura napoletana pubblicata dalla rivista Marcatrè negli anni Cinquanta, alla mostra del ’71 (con cui abbiamo aperto questo nostro contributo), alla esposizione e gli studi dei “frammenti postumi” di Capri12 – crediamo sia oggi doveroso per le stesse istituzioni culturali della nostra città: perché insieme al suo sguardo sull’arte non si disperda la memoria creativa di una comunità che fa ancora fatica a riconoscere i tesori sommersi della sua storia.
___________
1 La mostra si tenne alla Galleria “Il Centro” di Dina Carola e il volume di Lea Vergine dedicato all’esposizione, Napoli ’25/’33, Napoli 1971, è stato ristampato nel 2018 da Clean Edizioni, con la prefazione di Andrea Villani.
2 Edito da Skirà nel 2000.
3 Edito da Comune di Roma/Mazzotta editore nel 1980.
4 L. Vergine, L’altra metà dell’avanguardia, Roma 1980, p. 15 s.
5 L. Vergine, Napoli ’25/’33 cit. p. 5.
6 Ibidem.
7 Ci riferiamo, in particolare, ai testi di M. D’Ambrosio, I Circumvisionisti.
Un’avanguardia napoletana negli anni del fascismo, Napoli 1996, e Emilio Buccafusca e il futurismo a Napoli negli anni trenta, Napoli 1991.
8 L. Vergine, Napoli ’25/’33 cit., p. 41.
9 A. Villani, Racconti di una cultura operante. Napoli, la capitale sempre contemporanea di Lea Vergine, in L. Vergine, Napoli ’25/’33 cit., p.8; l’ex-direttore del Madre riferisce qui di una conferenza sull’arte contemporanea di Lea Vergine all’Accademia di Belle arti di Napoli, che apri una sintomatica querelle: «il giorno dopo su L’Unità esce un articolo di Paolo Ricci in cui il giornalista mette in relazione la presenza di un folto pubblico con il fatto che fosse venuto a guardare le gambe della relatrice». Vergine, ricorda ancora Villani, fa causa al giornalista e la vince.
10 Degli scritti di Lea Vergine su Ricci, segnaliamo, Lacero sfarzo e sogni nel cassetto, in Il Manifesto, 27 febbraio 1982, e, soprattutto, Paolo Ricci pittore, in La città nuova, settembre-ottobre 1987; un testo che riprende integralmente il suo intervento alla mostra “Paolo Ricci. Opere dal 1926 al 1974” (Napoli, Villa Pignatelli, 24 ottobre 1987). In quest’ultimo contributo critico, Vergine afferma che dopo «una serie di scaramucce piccole e grandi che si estesero a quasi dieci anni, nonostante votassimo lo stesso partito, da quando, nel ’71, feci la mostra “Napoli ’25/’33”, fummo amici... E mi sono rimasti nel cuore i due ultimi incontri avuti nell’81 a Massa Lubrense, quando Ricci era stato già molto provato dalla malattia».
11 T. Montanari - V. Trione, Contro le mostre, Torino 2017, p. 36.
12 Cfr. Capri. 1905/1940. Frammenti postumi, a c. di L. Vergine, ricerche e testi di E. Fermani, S. Lambiase, Milano 1983; il libro fu edito in occasione della mostra omonima promossa dal Comune di Anacapri.